
La "FELUCA" una delle singolarità dello Stretto di Messina
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Le coste Siciliana e Calabrese sono separate da un braccio di mare detto Stretto di Messina, solcato sin dall’antichità [Ζὰγκλης (Messina) e Ρήγιoν (Reggio Calabria) furono due fiorenti colonie greche poste agli opposti lati dello Stretto, chiamato dai latini “Fretum Siculum”] e noto per le leggende intorno alla presenza di mostri mitologici, oggi percorso dai ferry-boats e dalle moderne feluche spadare dedite alla pesca del pescespada. Tra le due coste, ad una profondità di circa 100 metri, esiste una soglia sottomarina simile ad un gradino che separa il mar Jonio dal mar Tirreno. L’alternarsi delle maree, di altezza diversa tra i due mari, determina un dislivello che varia dai 20 ai 50 centimetri, provocando il ciclico riversarsi delle correnti d’acqua ora in un mare ora nell’altro, generando estesi e vorticosi gorghi detti “grufoli”. Detti gorghi, nei tempi antichi, incutevano timore nei navigatori dello Stretto, tanto da venire identificati come due spaventose creature marine. Una era Scilla, posizionata in prossimità della costa calabrese, così descritta da Virgilio nell’Eneide (III, 681-689): “Scilla dentro a le sue buie caverne / Stassene insidiando; e con le bocche / De’ suoi mostri voraci, che distese / Tien mai sempre ed aperte, i naviganti / Entro al suo speco a se tragge e trangugna. / Dal mezzo in su la faccia, il collo e ‘l petto / Ha di donna e di vergine; il restante / D’una pistrice, immane, che simili / A’ delfini ha le code, ai lupi il ventre”. L’altra orrenda creatura era Cariddi, in corrispondenza della costa siciliana, che Omero nell’Odissea (XII, 101-110) così descrive: “L’altro scoglio, più basso lo vedrai, Odisseo, / vicini uno all’altro, dall’uno potresti colpir l’altro di freccia. / Su questo c’è un fico grande, ricco di foglie: / e sotto Cariddi gloriosa l’acqua livida assorbe. / Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe / paurosamente. Ah che tu non sia la quando assorbe! / Non ti salverebbe dalla rovina neppur l’Enosìctono. / Piuttosto lungo lo scoglio di Scilla navigando veloce / fa passare la nave, perché è molto meglio / piangere sulla nave sei uomini che tutti quanti”. Oltre a Scilla e Cariddi, fenomeni a cui gli antichi davano spiegazioni mitologiche, sullo stretto di Messina se ne verificano altri due, non sempre visibili, che prendono il nome di “Lupa” e di “Fata Morgana”. Il primo si manifesta con il condensarsi di una fittissima nebbia, causata dallo scorrimento sul mare di masse d’aria più calde rispetto alla temperatura delle acque superficiali dello Stretto; il secondo è un fenomeno di rifrazione che congiunge visivamente le due coste azzerandone la distanza. Nello Stretto di Messina, tratto di mare ricco di fenomeni e tradizioni che hanno colpito l’immaginazione dell’uomo, nel corso dei secoli si è sempre svolta una lotta tra pescatori e pescespada, di cui si hanno notizie sin dall’epoca classica: da Polibio (Πολύβιος – II sec. a.C.) in avanti, molti scrittori classici ci hanno lasciato testimonianze di un tipo particolare di pesca che vi si svolgeva, la pesca del pescespada (Xiphias Gladius). La pesca aveva il suo periodo più redditizio nei mesi di luglio, agosto e settembre, quando il pescespada si trova nelle acque dello Stretto spinto dal richiamo dell’accoppiamento; è per questo richiamo che risale dalle profondità ed affiora, diventando preda per i pescatori. Quando arrivava il periodo della pesca del pescespada, lo stretto di Messina si animava con delle imbarcazioni tutto ponte che stavano ancorate alla posta per individuare la preda; tali barche erano le “feluche” o “felue”, dotate di un albero altissimo (“ntinna”), da cui un uomo aveva il compito di avvistare le prede ed avvisare gli uomini che stavano sul “luntru”, una rapidissima imbarcazione a remi lunga circa 6 metri, in cui trovavano posto quattro rematori; un altro uomo su un albero con il compito di non perdere di vista la preda e impartire indicazioni sulla rotta d’inseguimento ed un uomo a prua con un lungo arpione con alette di ritenuta (“ferru”) che aveva il compito di colpire il pescespada.Sebbene oggi non vengano più adoperate le vecchie feluche ne’ i luntri, la tecnica di avvistamento ed inseguimento della preda, alla base della pesca al pescespada, è rimasta immutata: una feluca a motore presenta due peculiari strutture a tralicci telescopici. L’una, la torretta verticale, alta circa 20-25 metri, ha alla sua cima una cabina che serve alla vedetta per intercettare visivamente il passaggio del pescespada ed ha i comandi di pilotaggio derivati per indirizzare l’imbarcazione all’inseguimento. Il naturale brandeggio della struttura è contenuto attraverso tiranti di acciaio opportunamente ancorati a lande, mentre il beccheggio che crea è smorzato da fusti colmi di liquido posti sul ponte, che tendono ad abbassare il baricentro dell’imbarcazione e a controbilanciarne l’effetto, ed anche da due derive inclinate poste ai lati del piano di galleggiamento. L’altra struttura, lunga 25-30 metri, è una passerella orizzontale alla cui fine è posto un apposito “balconcino” in cui si colloca il fiocinatore che infilza il pescespada non appena è a portata di tiro. La funzione della passerella è di permettere al fiocinatore di intercettare la preda senza che quest’ultima sia messa in allarme dal rumore delle eliche ed al contempo impedendogli di percepire l’onda di avanzamento della prua dell’imbarcazione. Il rollio che la passerella crea nella navigazione è smorzato da zavorre costituite da fusti pieni d’acqua posti a poppa, unitamente ad una deriva orizzontale situata sopra il timone. In ragione della sua particolare struttura, riesce a sostituire da sola il “Luntru” e la “Feluca”, che per centinaia di anni e sino agli anni ’60 del secolo scorso, hanno lavorato in coppia, con le stesse finalità, nella zona dello Stretto di Messina. Questo tipo di pesca va lentamente scomparendo, a causa della drastica diminuzione della quantità di pescespada che transita nello Stretto, intercettato dai grandi sistemi di pesca d’altura che rende poco redditizia tale attività.
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